La Sicilia e.....la musica di Pietro Mascagni

Il panorama che l’Italia postunitaria offriva nell’ambito della musica teatrale era abbastanza variegato, ma tutt’altro che entusiasmante: in questo periodo videro la luce diverse opere, alcune espressioni della Scapigliatura come l'Amleto di Franco Faccio, qualche manifestazione avveniristica come il Mefistofele di Boito, e una serie di melodrammi legati agli schemi del romanticismo con innesti di elementi del grand'operà francese, la Gioconda di Amilcare Ponchielli, con la sua celeberrima "Danza delle ore" è l'esempio più classico. Nessuna di queste però era riuscita ad entusiasmare il pubblico come accadeva nel pieno '800, all'epoca di Rossini,Bellini,Donizetti e così via.  La sera però del 17 Maggio 1890, quando si rappresentò in prima assoluta al Teatro Costanzi di Roma la Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni, ci fu un improvviso cambiamento, la calma routine di quegli anni venne letteralmente sconvolta (neppure Puccini, con Le Villi del 1884 e l’ Edgar del 1889, era riuscito a fare  qualcosa di così originale e provocatorio),tanto che  si parlò di rivelazione, di capolavoro, e di scandalo al limite della volgarità; e il giovane musicista livornese divenne all’improvviso così famoso che l’opera varcò in pochi mesi le Alpi, mietendo successi e riconoscimenti critici ovunque, perfino in Germania e Austria, dove c'era molta severità riguardo alle opere italiane. Cerchiamo allora di capire  quali furono le caratteristiche di quest'opera che colpirono subito il pubblico e la critica: in primo luogo l'ambientazione in un piccolo paese della Sicilia di fine '800, associata a numerosi episodi cantati in modo spontaneo ed irruento con l'uso dei registri acuti che simulano il grido ,(se c'è una cosa di cui noi meridionali veniamo sempre accusati è quella di gridare o parlare ad alta voce,specialmente nei luoghi pubblici); in secondo luogo la presenza di ampi squarci sinfonici inseriti dal compositore per dimostrare che, dopo l'avvento di Wagner, se un musicista voleva essere moderno doveva necessariamente affidare all'orchestra un ruolo di spicco e non di secondo piano; inoltre la grande capacità con cui Mascagni manovrava le masse corali, che rafforzavano la presenza  del popolo sulla scena. Tutto ciò ha scatenato negli anni successivi al 1890 la nascita di una miriade di drammi passionali , di sangue, di ambiente popolare con forti caratterizzazioni regionali che volevano dimostrare che il Regno d’Italia non si riduceva solo a Milano, Roma e Torino, ma che era giunto il momento che l'Italia del Sud facesse sentire la sua viva presenza nei palcoscenici, con i suoi autori e le sue vicende. Un’Italia ancora povera e semianalfabeta che si sente finalmente rappresentata ,almeno a teatro, con una voce sonora e convincente.[ Mala Pasqua! di Gastaldon; Silvano dello stesso Mascagni e Nozze istriane di Smareglia (entrambi del 1895); Mala vita di Giordano (1892), tratta da ’O voto di Salvatore Di Giacomo; A Santa Lucia di Tasca, la Tilda di Cilea e soprattutto i fortunatissimi Pagliacci di Leoncavallo, tutti del 1892.]

Prima di entrare nel vivo dell'argomento occorre fare una breve premessa: sulla Cavalleria Rusticana e sulle sue origini si è molto fantasticato e si sono alimentate molte leggende; lo disse lo stesso autore in varie interviste rilasciate ai giornali in età matura e purtroppo,tanto nei testi,quanto in internet circolano notizie errate. Ad esempio si legge spesso che la scelta di rappresentare una novella siciliana del famoso poeta verista Giovanni Verga fu unicamente del librettista Giovanni  Targioni Tozzetti, ma le cose non stanno proprio così. Da studente, infatti, a Milano, accompagnato dall'amico livornese Giovanni Salvestri, Mascagni aveva visto "Cavalleria rusticana" di Verga al Teatro Manzoni, con la Compagnia di Salvo Andò, che da vero siciliano purosangue, ne aveva dato una grandissima interpretazione. Mascagni ne era stato colpito talmente che aveva espresso all'amico il vivo desiderio di musicare quel capolavoro. Quando poi,passati diversi anni, si trovava dal barbiere e lesse sul giornale l'annuncio di un concorso bandito dall'editore Sonzogno, che richiedeva ai concorrenti un'opera breve,in un unico atto, decise  di partecipare e si recò con il treno a Firenze per incontrare Targioni-Tozzetti  e gli propose l'idea di musicare la novella del Verga, ottenne a mala pena da parte del poeta una vaga promessa di interessarsene. Allora ritornato a casa gli spediva ripetutamente cartoline dove al posto dei saluti si congedava scrivendo "Hanno ammazzato compare Turiddu" ,finchè  un giorno ricevette su una cartolina postale i primi versi del libretto. Un'altro concetto da chiarire riguarda la collaborazione fra Mascagni, Tozzetti e Guido Menasci che non fu immediata tra i tre,come accadeva tra Puccini, Illica e Giacosa; accadde in realtà che il Tozzetti ebbe un impegno improvviso e non potè concludere l'opera e gli spedì una lettera in cui scriveva:" Ho troppo da fare e non sto scrivendo più. Manca poco a finire, ma devo ugualmente farmi sostituire da un amico" e da quel momento entrò in scena il Menasci che comunque rivide un pò tutte le parti,anche quelle iniziali.

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 Entriamo adesso nel vivo della sicilianità di quest'opera! Il preludio è una delle pagine più celebri della storia del melodramma, con un pianissimo iniziale che evoca l'alba con un canto degli archi soave ed armonioso sul quale lentamente s'innestano i fiati con i primi presagi di un mondo di passioni istintive e feroci. Ma dopo appena 3 minuti, nel momento in cui la sinfonia d'apertura aveva raggiunto la  massima tensione, l’orchestra a pieno organico stava per enunciare uno dei passi più drammatici del duetto tra Turiddu e Santuzza il discorso si interrompe di colpo e si ode la voce di Turiddu che canta una serenata a Lola accompagnato solo dall'arpa. Si tratta della celebre "siciliana" che viene cantata a sipario chiuso detta così perchè per la prima volta nella storia del melodramma viene usato il dialetto siciliano. Ascoltiamo!

min. 02.00-06.30 del file qui allegato      

O Lola ch'hai di latti la cammisa

Si bianca e russa comu la cirasa,

Quannu t'affacci fai la vucca a risa,

Biato cui ti dà lu primu vasu!

Ntra la porta tua lu sangu è sparsu,

E nun me mporta si ce muoru accisu...

E s'iddu muoru e vaju mparadisu

Si nun ce truovo a ttia, mancu ce trasu.

 

Ci si è chiesti se Turiddu Macca, archetipo della sicilianità, parla davvero in siciliano oppure no. Domanda più che legittima! Si racconta che la prima volta che il testo originale fu portato al cospetto del tenore palermitano Roberto Stagno,costui inorridì. Da sempre infatti il pubblico che assiste ad un allestimento di Cavalleria rusticana, al buio in sala, sentendo Turiddu dichiarare il suo amore a Lola, freme con lui, si commuove per quella insana passione, ma resta un po' perplesso di fronte all' incerto dialetto con cui il giovane canta la sua struggente serenata.

Pur considerando che si tratta di una versione letteraria del siciliano, pur ammettendo sia stata  "addomesticata" per i palati non siculi, è evidente che quel «ce moro accisu» è più napoletano che siciliano, così come lo sono i "me" e "ce" al posto di "mi" e "ci", più tipici del romanesco o del dialetto partenopeo. Fatto sta che Giovanni Targioni-Tozzetti era fiorentino,Mascagni era livornese come il Menasci e nessuno dei tre era mai stato in Sicilia. Dall'altro lato c'è però un elemento a favore tipicamente siciliano, ossia il corretto uso del pronome "IDDU", che  ci lascia a bocca aperta . in Sicilia il termine “iddu” è  un pronome personale di terza persona maschile singolare e significa “egli”, ma è anche vero che può avere significati diversi in riferimento al contesto della frase in cui si trova . Nel caso dell’espressione “s’iddu” presente nel settimo endecasillabo della Siciliana, il termine “iddu” non viene usato come pronome personale di terza persona singolare, ma come un termine che in italiano si traduce con la locuzione “per caso”: sicché è come se Turiddu dicesse: “E se io, per caso, muoio e vado in Paradiso/ se non ci trovo la mia amata Lola non ci voglio neanche entrare!”. Tutto perfetto .....se non fosse che in un lungo racconto del poeta Prosper  Mèrimèe ambientato in Corsica ad un certo punto un protagonista dice:  «S' entrassi ' ndru Paradisu santu, santu / e nun truvassi a tia, mi n' esciria». 

Come la mettiamo adesso? Ciò significa che il librettista poco sapendo della Sicilia, associava duelli ,sanguinose vendette, gelosie, mantelli neri e coltelli corsi o sardi o siciliani.....E' nata una diatriba durata cent'anni, in cui ognuno ha fornito  una tesi diversa, fino a quando nel 1989 Pascal Marchetti (La corsophonie: un idiome à la mer) ha definitivamente chiarito che la serenata non è affatto còrsa ma, senza dubbio, siciliana e l'ha provato scomodando Jacopo da Lentini, l'ideatore del sonetto, che Dante chiamò " Il Notaro nel XXIV canto del Purgatorio. In un suo scritto del 1200, un canto di un pastore, c'erano proprio questi due versi.......in conclusione vi leggo un articolo uscito sulla Repubblica il 19/6/2010   

Terminato il preludio iniziale, all'apertura del sipario ci troviamo subito immersi nella nostra Sicilia ascoltando un solenne coro che descrive l'atmosfera primaverile e il tepore d'una domenica in campagna, con  gli aranci che olezzano,- cioè profumano - in un giorno di festa; si celebra infatti la Pasqua e le campane della chiesa suonano, mentre donne e uomini entrano gradualmente in scena. Le donne  inneggiano  alla bella stagione e alla celebrazione della Pasqua in onore della quale devono cessare le rustiche opere, gli uomini in coro esaltano invece le rispettive mogli. Il coro è introdotto da un tema orchestrale gioioso di sapore popolare con la sua apertura melodica iniziale e le frequenti note ascendenti che anticipano il richiamo Ah! scambiato reciprocamente subito dopo dagli uomini e dalle donne. Questo clima così gioioso cessa presto perché il dramma è alle porte e tutto ciò viene  segnalato in musica dal repentino passaggio dalla tonalità la maggiore al fa diesis minore, e seguirà subito il dialogo tra Mamma Lucia e Santuzza, che innamorata di Turiddu vorrebbe sapere dove egli si trovi.

Gli aranci olezzano

sui verdi margini,

cantan le allodole

tra i mirti in fior.....

Ascoltiamo! min. 11,50- 15.00 circa

Dopo il dialogo fra mamma Lucia e Santuzza, ditemi per pietà dov'è Turiddu, entra sulla scena Alfio, il suo rivale, annunciato da un agitato tema in crescendo. In questa  sua sortita, l’uomo loda il suo mestiere,quello di carrettiere, cantando "Il cavallo scalpita" aiutato dall’intervento del coro, poi un breve recitativo tra Alfio e mamma Lucia e ad un certo punto si sente il suono dell'organo. Questa fu davvero un'idea davvero geniale da parte di Mascagni, inserire nell'organico dell'orchestra l'organo a canne per la prima volta in assoluto nella storia dell'opera italiana. Qualcuno potrebbe obiettare che anche nell'Otello di Verdi c'era l'organo, ma la partitura verdiana lo previde nella versione del 1894 da rappresentare al grand'operà di Parigi, quindi 4 anni dopo la cavalleria rusticana. La scelta è stata oculata e per nulla casuale, Mascagni sapeva che gli organi antichi più belli  e completi d'Italia si trovano proprio in Sicilia ed in particolare nella provincia di Catania, e ben 62 nella diocesi di Cefalù. Quello della chiesa di S.Nicolò l'Arena, vicino piazza Dante è considerato l'opera  più riuscita in assoluto da parte dell'organaro Donato Del Piano,tanto che si scrisse nell'800: " è il più grande che l'uomo abbia fatto; le canne di cui è composto sono in numero sterminato; ha grandissimo numero di registri, che imitano tutti gli strumenti anche da corda con una verità sorprendente; ciascheduno ha l'eco che lo ripete in lontananza; molte canne sono accumulate sopra ogni tuono onde accrescerne la forza e l'armonia; i più grandi bassi sono di legno; il tamburo è così forte che batte l'orecchio in qualunque sito del vastissimo tempio che costruì tre organi in uno." 

Ritornando alla nostra opera,abbiamo il suono dell'organo e subito dopo una gemma dell’opera, la famosa preghiera, intonata dal Coro e da Santuzza. Il primo, in una scrittura solenne ed ecclesiastica quasi rinascimentale, intona il Regina Coeli  in latino e dopo in italiano Santuzza canta l'inno: Inneggiamo, il Signor non è morto ,in una scrittura omofonica. Ascoltiamo.........

 Il celeberrimo Intermezzo, che separa le due parti dell’atto unico e copre, da un punto di vista temporale, il periodo in cui si svolge la cerimonia religiosa, è una brevissima, ma intensa pagina orchestrale nella quale Mascagni rielaborò la musica di una precedente “Ave Maria”.Popolarissimo, in ambito cinematografico lo abbiamo ascoltato diverse volte, in una delle più celebri scene del film il padrino - Parte III,poi  è stato usato anche nei titoli di testa del film Toro scatenato di Martin Scorsese, ancora come tema conduttore del film Il cavaliere di Lagardère di Philippe de Broca e così vià. 

Finita la messa, Turiddu offre da bere agli amici all'osteria della madre. Il brindisi costituisce l’ultimo raggio di luce all’interno dell’opera che, da questo momento in poi, precipita verso la tragedia,infatti  quando offre un bicchiere anche ad Alfio ,questi sdegnato, lo rifiuta e, nel gesto di abbracciarlo, gli morde l'orecchio sfidandolo a duello. Prima di recarsi alla sfida mortale, Turiddu ha il tempo di dare un toccante addio alla madre e dopo un coinvolgente arpeggio degli archi in tremolo, le chiede di avere cura di Santuzza. L'epilogo del duello è rappresentato dalle grida di una popolana che urla: ”Hanno ammazzato compare Turiddu!”

La Cavalleria Rusticana è un vero gioiello, un capolavoro ambientato nella nostra terra  che è oggi viene rappresentato in numerose città del mondo, New York, Melbourne, Sidney con repliche che superano anche i 50 giorni......

Visione filmati finali......